Con il referendum venezuelano del 3 dicembre, in cui ha vinto il sì con il 90%, si è riaccesa una questione che va avanti da secoli che riguarda l‘annessione da parte del Venezuela della Guyana Esequiba, una regione che forma due terzi della Guyana, che si estende appunto fino al fiume Essequibo e che è contesa tra la Guyana e il Venezuela. Il primo stato riconosce l’arbitrato internazionale del 1899 che riconosce la regione come parte della Guyana Britannica allora colonia del Regno Unito, il secondo, invece, riconosce un accordo con il Regno Unito del 1966 (quando la Guyana non era ancora indipendente) che sanciva la volontà delle due parti di negoziare per decidere di chi dovesse essere il controllo della regione.
Ma perché Maduro, il presidente venezuelano, ha deciso di fare questo referendum? La disputa è tornata di interesse dal 2015 quando la compagnia petrolifera statunitense ExxonMobil ha scoperto numerosi giacimenti petroliferi in questa regione, già nota per avere grandi quantità di oro e minerali preziosi. Tuttavia è molto probabile che il presidente abbia usato questa causa nazionalista per provare a riacquistare popolarità in vista delle elezioni del 2024.
Il 14 dicembre si sono tenuti dei negoziati nello stato caraibico di San Vincent e Grenadine tra Maduro e Irfaan Ali, il presidente della Guyana, dove hanno concordato che “direttamente o indirettamente, non si minacceranno né useranno la forza l’uno contro l’altro in nessuna circostanza, comprese quelle derivanti da qualsiasi controversia esistente tra i due Stati”, pur non avendo trovato un compromesso sul controllo del Territorio Esequibo.
Negli ultimi giorni, nonostante la situazione sia più distesa, rispetto giorni seguenti al referendum, altri stati sono intervenuti: Putin ha parlato con Maduro, il Regno Unito ha mandato una nave da guerra nella Guyana e il Brasile ha inviato dei missili anticarro nel confine con il Venezuela.
Ricerche e Redazione
Anna e Irene