Negli Stati Uniti la pandemia non sta colpendo tutti gli abitanti allo stesso modo: a inizio febbraio l’Apm research lab ha eseguito uno studio che mette in relazione le morti di Covid-19 in America e l’etnia dei suoi abitanti.

In particolare è stata stimata la morte di un nativo americano su 475, cifra che per gli afroamericani scende a 1/645, per i bianchi a 1/825 e per gli asiatici 1/1320. I dati parlano chiaro: il virus uccide le minoranze etniche molto di più rispetto ai bianchi e agli asiatici.

Peraltro, è bene anche evidenziare che spesso tali minoranze non sono nell’interesse delle autorità e sono vittime di una marginalità sociale che influenza le statistiche.

Chi sta soffrendo maggiormente l’emergenza sanitaria sono i nativi americani, in particolare negli stati del Mississippi, New Mexico, Arizona, Montana, Wyoming, North e Sud Dakota.

Le ragioni di tale strage sono molteplici: ragioni sanitarie, come la difficoltà ad accedere ad acqua corrente e i problemi di igiene che ne conseguono, un sistema immunitario meno forte e sviluppato rispetto a quello del resto della popolazione.

Quello che grava di più però, è il disinteresse autoritario verso queste minoranze che rimangono tagliate fuori da qualsiasi tipo di assistenza sanitaria.

Ciò che è più a rischio, oltre alle vite stesse delle popolazioni native, è il patrimonio culturale che custodisce ogni minoranza. Gli anziani colpiti dal virus sono proprio coloro che avevano il compito di tramandare la lingua, le leggi, gli insegnamenti e i punti fondanti delle singole comunità.

Portare l’attenzione verso questo problema, che sta arrivando sempre più velocemente ad un punto di non ritorno, vuol dire lottare contro questa forma di razzismo e garantire la sopravvivenza non solo di esseri umani ma anche di un immenso patrimonio culturale che ha combattuto contro il tempo fino a oggi.

Ricerche e redazione

Sara