Domenica 5 marzo è scoppiato un incendio nel Kutupalong Balukhali Expansion Site, un insieme di campi profughi nel distretto di Cox’s Bazar, Bangladesh. Il fuoco, che ha avuto origine nel campo 11 e si è poi esteso in un’area molto più vasta, ha bruciato circa duemila rifugi e ha colpito diverse strutture scolastiche, mediche e religiose, danneggiando anche alcune infrastrutture idriche. Per fortuna non ci sono vittime, a differenza di quando in un altro incendio nel 2021 erano morte 15 persone, tra cui alcuni bambini, ma la situazione è lo stesso insostenibile, con dodicimila persone rimaste senza un’abitazione.
Stando alla commissione investigativa del governo del Bangladesh, l’incendio, partito da diversi punti del campo, sarebbe stato un “atto di sabotaggio premeditato” da parte di gruppi militanti rohingya desiderosi di affermare la propria autorità nei campi. La dichiarazione arriva da una commissione investigativa che non vede componenti esterne dal governo del Bangladesh e va quindi presa con una certa cautela, dati i precedenti tentativi del paese di ostacolare la presenza dei Rohingya. In ogni caso, la presenza di gruppi armati è un problema presente da tempo nei campi profughi Rohingya. Numerose sono le bande criminali che controllano le diverse zone del campo, si sostengono trafficando droga e praticano stupri e violenze, e a queste si sono aggiunti nel 2021 i ribelli di ARSA (Arakan Rohingya Salvation Army), un gruppo nato con lo scopo di difendere i diritti dei Rohingya che ha fatto poi dei campi profugi il suo principale punto di reclutamento, uccidendo e minacciando chiunque si sottragga alle sue violenze. Tutto ciò ha aumentato l’ostilità del Bangladesh verso i Rohingya, e i negoziati con il governo birmano per il rimpatrio dei profughi, che si erano interrotti a seguito del golpe militare che c’era stato in Myanmar all’inizio del 2021, sono ripresi a gennaio di quest’anno. Il 15 marzo una delegazione del governo birmano è arrivata nella zona di Cox’s Bazar, per discutere il rimpatrio di 1100 persone. La preoccupazione di molte associazioni e organizzazioni di profughi è che il rimpatrio porti a nuove violenze contro la minoranza Rohingya, che dovrebbe tornare in villaggi abbandonati dal 2017, quando i militari birmani, che secondo l’Onu sarebbero stati colpevoli di genocidio, avevano intrapreso una serie di campagne caratterizzate da violenze, uccisioni indiscriminate e stupri di massa, uccidendo in un’estate almeno 6.700 rohingya e costringendo più di 600 mila persone a lasciare il Myanmar. Questa preoccupazione è condivisa anche dall’Onu, che però rimarca il diritto dei profughi di ritornare volontariamente nel proprio paese.
Ricerche e redazione
Anna e Agnese