In Australia vi sono, da circa 45.000 anni, almeno 500 diversi popoli aborigeni, ciascuno con la propria identità linguistica e territoriale, e generalmente organizzati in clan distinti.
Prima dell’invasione britannica nel 1788 gli Aborigeni vivevano in tutta l’Australia, anche se la maggiore densità demografica si trovava lungo la costa.
Oggi, più della metà degli Aborigeni risiede nelle periferie più degradate delle città, spesso in condizioni terribili. Molti lavorano come braccianti in quelle stesse fattorie che hanno occupato le loro terre ancestrali ma altri, soprattutto nella metà settentrionale del continente, rimangono radicati nelle loro terre e vivono ancora di caccia e raccolta.
Nel 1992 però c’è una svolta. In questo anno infatti venne revocato il principio giuridico che regolava le questioni indigene nella legislazione inglese e, pertanto, anche in quella australiana, quello della “terra nullius”: un principio che definiva la terra australiana prima dell’arrivo dei Britannici come una terra “vuota”, una terra di nessuno che, pertanto, poteva essere legittimamente occupata dai coloni. Per la prima volta, la sentenza riconobbe l’esistenza di un “titolo di proprietà nativo” su gran parte dell’Australia rurale.
Oggi, gli Aborigeni stanno ancora aspettando la restituzione di gran parte della loro terra, e il furto e la distruzione dei territori ancestrali hanno avuto su di loro un impatto sociale e fisico devastante.
Le prime invasioni portarono con sé epidemie che sterminarono migliaia di Aborigeni, mentre molti altri furono massacrati. Nell’arco di un solo secolo dall’arrivo dei colonizzatori, la popolazione aborigena si ridusse da un numero presunto di almeno un milione di persone a soli 60.000 individui.
Ora il governo australiano di Anthony Albanese sta cercando di mettere in atto un ulteriore tentativo per riconoscere la storia precoloniale del paese; infatti entro la fine del 2023 si terrà un referendum che propone di riconoscere le persone aborigene, che attualmente non sono menzionate nel testo costituzionale.
L’ idea alla base del referendum è quella di modificare la Costituzione per introdurre un organo di rappresentanza delle popolazioni aborigene (Voice) che collabori sia con il parlamento che con il governo,
La creazione di tale organo era già stata proposta nel 2017 da un gruppo di 250 leader aborigeni che avevano presentato un documento chiamato Uluru Statement from the Heart. In questo documento gli aborigeni scrivono di sentirsi “impotenti” quando tentano di affrontare i problemi strutturali che affliggono la loro comunità e che portano a un’aspettativa di vita più breve, performance scolastiche e condizioni sanitarie peggiori e tassi di incarcerazione in proporzione più elevati rispetto ai discendenti dei coloni britannici. La richiesta venne però respinta dal governo del primo ministro Malcolm Turnbull, di orientamento conservatore.
Per essere approvato, il referendum dovrà ottenere la maggioranza dei voti, sia a livello nazionale che in almeno quattro dei sei stati. Non è previsto un quorum: in Australia il voto è obbligatorio per legge anche in caso di referendum.
L’approvazione del referendum però è ancora molto discussa e ci sono diversi pensieri a riguardo: Secondo un sondaggio dello scorso anno (2022), il 60% dei cittadini australiani non indigeni vorrebbe che il governo facesse di più per gli aborigeni. L’opposizione, invece, sostiene che gli aborigeni siano già abbastanza rappresentati in Parlamento grazie alla presenza di 11 deputati, che però secondo i sostenitori di “Voice” provengono da circoscrizioni specifiche e non considerano gli interessi aborigeni nel loro insieme.
Altri aborigeni temono invece che il loro riconoscimento nella Costituzione equivalga a una cessione delle loro terre al governo australiano e non approvano la modalità referendaria, preferendo trattative dirette con il governo.
Ricerche e redazione
Marta e Irene