Il 13 gennaio il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito a porte chiuse per discutere della situazione di donne e ragazze in Afghanistan. Alla fine della riunione il Consiglio ha esortato i talebani a “revocare immediatamente tutte le misure oppressive contro le donne e le ragazze” e a rispettare i loro diritti, così come a garantire la loro piena inclusione nella società.
Il 15 agosto 2021, a seguito del ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan, i talebani avevano ripreso il controllo del paese. Da quel momento la situazione per le donne ha cominciato a peggiorare. A marzo del 2022 le scuole secondarie femminili, che erano rimaste chiuse dal ritorno al potere dei talebani, non avevano riaperto e a maggio alle donne era stato imposto di indossare il burqa. A novembre poi la situazione è peggiorata ulteriormente, con la decisione di applicare in maniera ancora più rigida la “sharia”, decisione che ha portato il ritorno di condanne a morte, amputazioni e lapidazioni in pubblico. Il colpo di grazia è arrivato il 21 dicembre, quando i talebani hanno vietato alle donne di accedere all’università. Questo e il successivo divieto di lavorare per le ONG hanno ulteriormente aggravato una situazione già instabile. In settori come la sanità, infatti, il ruolo delle donne è fondamentale per raggiungere e aiutare una parte maggiore di popolazione: una loro esclusione porterà a pesanti conseguenze per il popolo afghano. Tutto questo in un paese dove la sicurezza dei cittadini è anche messa in pericolo da attentati, come testimonia Emergency, che l’11 gennaio ha già assistito alla prima mass casualty (un incidente, un attentato o un’esplosione in cui le risorse dei servizi medici di emergenza vengono sopraffatte dalla quantità e dalla gravità dei feriti) del 2023.
Ricerche e redazione
Anna e Irene
