“La lotta è veramente dura, però la possiamo vincere insieme” sono le parole dell’attivista italo-congolese John Mpaliza che da anni si batte a favore delle popolazioni dimenticate del suo paese d’origine, la Repubblica Democratica del Congo. Da 26 anni, infatti, il Congo si vede protagonista di un immenso conflitto con il Ruanda (il conflitto più sanguinoso dopo la Seconda Guerra mondiale) e da 5 mesi la città di Bunagana, che si trova al confine con l’Uganda, è occupata militarmente, politicamente e amministrativamente per mezzo dell’ M23, movimento ruandese. Sono anni che il Congo grida aiuto: a questo proposito ricordiamo il discorso tenuto durante il ricevimento del Nobel per la Pace nel 2018 dal medico Denis Mukwege, che ha curato migliaia di donne stuprate. Eppure, secondo alcune testimonianze, coloro che dovrebbero difendere e aiutare i cittadini congolesi sono gli stessi che portano violenza: arrivati nel 1999 con la funzione di peacekeepers, i Caschi Blu oggi sono una delle ulteriori cause di crimini e violenza in Congo.
Inoltre, il 19 Settembre 2022, alla vigilia dell’assemblea generale delle Nazioni Unite, il Segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres ha dichiarato che i Caschi Blu della Monusco non riescano a sconfiggere l’M23 perché diventata ormai un esercito moderno e militarmente in vantaggio. Quest’ultima affermazione lascia presupporre che l’invio degli armamenti all’M23 derivi dalle potenze quali Stati Uniti, Canada, Inghilterra ed Europa (tra cui in primis l’Italia).
Dietro a questo scenario si insinuano infatti le grandi forze internazionali che traggono vantaggio dallo sfruttamento della Repubblica Democratica del Congo, ricca di minerali e risorse fondamentali per la tecnologia che usiamo quotidianamente.

Ricerche Anna, Chiara e Marta

Redazione Chiara e Marta